Suonare, fare l’amore, suonare – Intervista ai Fuochi di Paglia

CARTOLINA

Sono toscani e a Dicembre 2013 è uscito il loro primo disco “MÉNAGE À TROIS” (Labella Studio).
Si chiamamo Fuochi di Paglia. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro.

Prima eravate un trio ora siete in quattro, come nasce la vostra band?
Il nucleo embrionale dei Fuochi di Paglia nacque per volontà di un nostro comune amico che, aperta un’enoteca, voleva un gruppetto per allietare una serata e ci chiese di mettere su un repertorio di cover con una formazione acustica o semi-acustica; a noi piacque subito l’idea, con il fermo convincimento di reiterare la cosa in vari locali e riuscire così anche a monetizzare qualcosina… durante la preparazione di questa serata però Gabriel Stohrer (cantante/chitarrista) insieme alle cover concordate tirò fuori dal cassetto delle composizioni inedite che ci intrigarono subito. Così ci si mise mano, si montarono, si arrangiarono e ci si divertì talmente tanto che praticamente da subito formammo il corpus costitutivo del nostro attuale repertorio. Giuseppe Alberti (tromba, cori), il quarto elemento, è entrato quando, dopo tre anni circa di serate, abbiamo sentito l’esigenza di ampliare la gamma delle possibilità timbriche e compositive; inoltre suonare in tre è veramente faticoso e spossante.

Perchè scrivete e suonate le vostre canzoni? Da quale esigenza parte tutto ciò?
Siamo convinti che suonare canzoni proprie è lo scopo ultimo di qualsiasi musicista, è una forma di comunicazione imprescindibile. Nel nostro caso i pezzi prendono spunto dalla realtà che respiriamo quotidianamente; qualsiasi spunto, purché ritenuto interessante, è un ottimo punto di partenza, dalle più frivole piccolezze fino ai grandi temi socio-culturali.

Dalle prime recensioni emerge un vostro primo disco davvero interessante. Vi rispecchiate in quello che la critica sta scrivendo di voi?
A volte ci si rispecchia, a volte no; è molto interessante e divertente per noi vedere come dei perfetti sconosciuti interpretano le nostre composizioni, cosa leggono tra le righe, come rielaborano i concetti espressi e le soluzioni armoniche adottate. Se poi i giudizi, come quelli emersi fino ad oggi, sono positivi, tanto meglio, ma non è necessario. Stiamo ancora aspettando in gloria la prima grossa stroncatura!

E’ stato dura realizzare questo disco?
Per quanto riguarda le riprese la lavorazione è stata molto fluida: ci eravamo preparati molto accuratamente prima di entrare in studio, seppur naturalmente tanti spunti sono nati direttamente in questa fase. La parte più dura è stata tutta la post-produzione, in particolari modo il mixaggio, dato che abbiamo registrato una marea di tracce diverse per ogni brano e selezionare e rimettere tutto in ordine non è stato uno scherzo; in tal senso il lavoro di Matteo Guasti e Alessandro Moscatelli della Labella Studio è stato fondamentale.

Quanto è faticosa la vita della band emergente in Italia?
Direi che è molto faticosa, l’offerta è amplissima ormai e trovare spazio non è semplice. Le strutture professionali che ci potrebbero coadiuvare e i locali per suonare sono bombardati quotidianamente da proposte di ogni sorta… ma non molliamo!

Progetti per il futuro?
Suonare, suonare, fare l’amore, suonare.