Siamo pieni di Schemi, Intervista a Luis Leo

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Leonardo Borrelli ex cantante, chitarrista e compositore del gruppo indie Mersenne, pubblica con Urtovox “Stolen Dresses” nel 2005, preceduto da un EP autoprodotto, “Fishes Say Blu Blu”, nel 2003. Dopo lo scioglimento della band entra nel giro artistico di Lucio Dalla grazie anche alla composizione del brano “Anche se il tempo passa”. Dopo questa esperienza nasce la voglia di lavorare a brani con testi in Italiano unendo l’indie power-pop dei Mersenne a sonorità a tratti più vicine al punk. Gli ascolti variano dai più conosciuti Arcade Fire, Interpol, Radio Dept, ai meno conosciuti, Deerhunter, Wild Nothing e Beach House, senza dimenticare i gruppi seminali delle origini come Pixies, Pavement, The Notwist e Deus. Nel 2014 forma il progetto Luis Leo e chiude nove canzoni nel primo album ufficiale che è uscito il 5 Gennaio 2018 dal titolo Dell’essere liberi (La Sete Dischi 2018).

Ecco la nostra intervista via mail.

 

– Il tuo primo album si intitola “Dell’essere liberi”, come mai questo titolo?
Devo fare una piccola premessa però. Il titolo è cambiato ben due volte nel corso dell’ultimo anno. Inizialmente lo avevo intitolato Impossibile Cambiare, per la sua più spiccata aggressività e forza espressiva. In realtà forse troppo e dava un’immagine sbagliata di me e del disco. Impossibile Cambiare è una canzone provocatoria che in realtà vorrebbe dire esattamente il contrario e non volevo quindi creare confusione. Decisi quindi di chiamarlo Non Voglio Più Parlare d’Amore, unica ballata del disco al quale sono molto affezionato, ma anche qui sentivo di non rappresentare il vero contenuto di tutto il disco. Quella è una canzone che addita una certa banalità con la quale viene trattato l’argomento più o meno da sempre in Italia a parte rare eccezioni. Mi riferisco in particolare alle canzoni fatte con lo stampino Sanremese che purtroppo tutti conosciamo e che hanno rovinato la musica italiana degli ultimi 30 anni.

Circa un mesetto fa, poco prima di andare in stampa, stavo riguardando dei libri letti anni prima tra cui uno di Schopenhauer dal titolo L’arte di essere felice. Subito mi è saltato in mente il titolo di un brano, realizzato nel lontano 2001 dai primissimi Mersenne, autore e cantante Luca Aiello con Emiliano Colomasi al basso e Stefano Marino alla batteria. Si chiamava appunto dell’essere liberi. Un fulmine a ciel sereno! Se ci pensi effettivamente il concetto di felicità ben si sposa con quello di libertà e questo connubio mi chiarì subito che il trait d’union di tutto il disco era la libertà di scelta. Tutti i brani, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con questo concetto. Liberi di scegliere cosa fare e perché, trovando il proprio modo di fare, anche pagando caro gli sbagli, ma arrivando a vivere una vita più piena, che poi è l’unica che abbiamo. Molti credono di esserci già arrivati, in realtà è il lavoro di una vita, dove l’esperienza vera è rappresentata dal percorso che ci porta fino a li. Sai com’è, siamo pieni di schemi appunto.
– E invece il nome “Luis Leo”? Come nasce?
La scelta del nome è stato inizialmente un gran casino. Non avevo dei vecchi soprannomi da usare, ne un background come solista, quindi dovevo partire da zero. Ero certo solo di non volere utilizzare il mio nome vero perché è troppo personale e vincolante. Inizialmente ci sedemmo al tavolo, facendo una specie di brainstorming, con Antonello Bitella bassista e Matteo Fortuni tutto fare, che sono anche i co-produttori del disco, ma nessuna idea veramente valida uscì. Volevo un nome che si ricordasse velocemente, non fosse troppo lungo o con parole difficili, suonasse fluido, che magari contenesse qualcosa anche del mio nome e potesse essere letto facilmente da uno straniero. Ho creato una specie di gruppo allargato di amici stretti e fidati che avessero avuto già esperienza con queste cose e ho iniziato a chiedere il loro parere su alcune idee che avevo. Da questa ricerca, grazie all’amico fraterno Emiliano Colomasi, è venuto fuori Leo. Mi chiamano Leo da sempre quindi mi sembrava talmente scontato da non averlo mai preso in considerazione prima d’allora. Pensandoci un pò su in realtà non era male. Sicuramente mi rappresentava, ero io. Semplice e diretto. Però mi mancava qualcosa. Praticamente il giorno dopo un mio amico di Milano, che lavora in una agenzia di comunicazione importante, mi disse: perché non ti chiami Lui è Leo? Mi sembrava un’idea su cui lavorare e da li ho migliorato il suono facendolo diventare Lui’s Leo, un mix tra verbo essere italiano e il genitivo sassone inglese. Finalmente a settembre, nel mio mare di Siracusa, mentre bevevo un caffè nel baretto in spiaggia, ho tolto l’inutile genitivo sassone e siamo arrivati a Luis Leo, più fluido, che di per sé non significa niente ma per me ha funzionato da subito. Per fortuna il disco è uscito in ritardo e mi ha dato la possibilità di apportare queste ultime modifiche, tra cui il titolo, e ora sono sicuramente più soddisfatto. Vedi, Non tutti i mali….
– Che musica hai ascoltato mentre registravi il tuo disco? Da chi ti sei lasciato influenzare?
Ho sicuramente dei generi di appartenenza come l’indie-rock, power-pop, shoegaze, punk e garage, però mi rendo conto che alla fine ascolto un po’ di tutto. Ho sempre ascoltato di più i gruppi piuttosto che un genere particolare, perché quando un gruppo è bravo, che per me non significa virtuosismo, può esprimere il meglio in ogni genere e quindi ti offre la possibilità di ascoltare soluzioni diverse sempre interessanti. Tra l’altro ascolto musica praticamente solo quando guido perché sono più rilassato e ascolto meglio. Guido parecchio.

In quel periodo, parliamo di Aprile 2015 ma anche per tutto l’anno prima, ho praticamente consumato i seguenti ascolti che in un qualche modo mi hanno ispirato, vuoi per i suoni piuttosto che le strutture o le melodie: Monomania e Feding Frontier di Deerhunter, Beach House, Black Lips, Arcade Fire, Nocturne di Wild Nothing, Passive Agressive che è una raccolta favolosa dei Radio Dept di cui il Cd si è veramente consumato, dovrò ricomprarlo. Poi ancora Beach Fossil, Real Estate, Tame Impala e molti altri meno famosi dai quali si trae sempre qualcosa in freschezza.

– Pensi davvero che la gente sia piena di schemi?
Beh si certo. Ma poi questi schemi non sono sempre negativi. A volte ci salvano anche da situazioni sconvenienti. Sono semplicemente sovrastrutture che ci costruiamo e ci portiamo dietro come salvagenti per non avere paura, complice soprattutto il nostro backgrund infantile. Fin da piccoli infatti individuiamo subito quello che ci fa stare bene e non lo molliamo più neanche se ci sbattono in faccia soluzioni evidentemente migliori. E’ anche un modo per stare tranquilli accontentandosi. Niente di male fino a qui. Quando però è qualcun altro a rompere i nostri schemi, come ad esempio un amore finito male, ecco che crolla tutto il nostro bel castello organizzato. Si soffre, si ha paura, si cresce e si riparte più forti di prima con schemi migliori. E poi sempre cosi. Non entro nei dettagli, tutti hanno le loro e io ho le mie, il punto è esserne consapevoli. L’obiettivo non è abbattere gli schemi ma bensì controllarli invece di farsi controllare e magari riderci sopra.

-Cosa ti aspetti da questo album?
Non mi aspetto nulla di particolare. Sono molto tranquillo. Spero solo che piaccia alle persone e mi consenta di portarlo un po’ in giro per l’Italia. Spero possa essere un mezzo per condividere questa nuova avventura con chi ancora non mi conosce.
– Progetti futuri?
Ho già la testa su nuovi brani da registrare. Vorrei fare un EP al più presto per avere un live figo da 14 canzoni più varie ed eventuali dal mio passato. Una parte di me ormai è molto legata a New York quindi sicuramente vorrò continuare ad andarci, cosi come ho fatto negli ultimi 4 anni e collaborare anche con altri artisti italiani e non. C’è un bel gruppo di amici che vive la e fa belle cose.

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